In passato, le coppie con un figlio o un membro della famiglia con una malattia ereditaria, hanno avuto a disposizione le seguenti alternative per ridurre il rischio:
La diagnosi prenatale prevede l'utilizzo di tecniche come la villocentesi o amniocentesi, e permette l'identificazione di anomalie genetiche, entro le prime 10-16 settimane di gravidanza, in quelle coppie a rischio di trasmissione di una malattia genetica alla prole.
Le due procedure prevedono il campionamento di cellule fetali dalle quali verrà estratto il DNA per effettuare l'analisi di mutazione di specifici geni e/o la determinazione del cariotipo fetale.
Avere la possibilità di una scelta alternativa alla diagnosi prenatale risulta di grande utilità per le coppie a rischio genetico, evitando loro il ricorso all'aborto terapeutico.
La diagnosi prenatale, in diverse popolazioni non è accettata a causa di problemi etico/morali o religiosi associati all'interruzione della gravidanza.
L'evoluzione delle tecniche di fecondazione in vitro (IVF), e la possibilità di ottenere cellule gametiche ed embrionali utilizzabili per la diagnosi di patologie genetiche, ha permesso di spostare l'epoca della diagnosi dalla fase "post-impianto" alla fase "pre-impianto".
Oggigiorno è sempre più frequente incontrare coppie che ricorrono a programmi di procreazione medicalmente assistita (PMA) caratterizzata da alcuni insuccessi, e in questi pazienti, la capacità riproduttiva ridotta è ritenuta dipendere dalla presenza negli embrioni di aneuploidie cromosomiche. Per tale motivo sempre più coppie decidono di intraprendere il percorso della diagnosi preimpianto.
Questa procedura definita nello specifico Test Genetico Preimpianto (PGT) prevede la fecondazione in vitro, la biopsia embrionaria e la successiva analisi genetica degli embrioni, così da poter aumentare le possibilità di ottenere un bambino sano.
Il materiale su cui viene eseguito l’esame genetico è rappresentato da più cellule prelevate al quinto/sesto giorno di coltura in vitro (trofectoderma) allo stadio di blastocisti. Tale stadio dello sviluppo embrionale garantisce una maggiore accuratezza dell’analisi genetica, ma anche una maggior resistenza dell'embrione allo stress subito durante la procedura.
Il test genetico preimpianto permette la valutazione dello stato di salute embrionario (PGT-A) in tutte le coppie che si sottopongono a fecondazione in vitro anche se non portatori di malattie genetiche.
Consente inoltre di identificare la presenza di malattie monogeniche (PGT-M) o di alterazioni cromosomiche (PGT-SR) in embrioni in fasi molto precoci di sviluppo, generati in vitro da coppie ad elevato rischio riproduttivo, prima del loro impianto in utero.
Ad oggi esistono principalmente due correnti di pensiero riguardanti quando e chi può accedere alla diagnosi genetica preimpianto.
La prima afferma che la procedura deve essere effettuata solamente in determinate categorie di coppie, in cui vengono considerati diversi parametri:
Inoltre viene affermato che eseguire questa procedura su tutte le coppie che intraprendono un percorso PMA presenta comunque dei limiti e dei rischi, come ad esempio:
● danni fisici all’embrione durante la biopsia;
● aumento del tasso di mortalità embrionale se la biopsia viene eseguita su blastomero in 3° giornata di sviluppo;
● mosaicismo embrionale;
● errore umano;
● errori diagnostici legati a peculiarità biologiche dell’embrione o a limiti tecnologici;
● costo della procedura elevato.
Sempre in relazione ai limiti e ai rischi della procedura viene raccomandato di includere la coppia in un percorso PGT, se la diagnosi è fattibile e l'affidabilità della tecnica è elevata. La percentuale di errore della tecnica diagnostica della maggior parte dei Centri internazionali che effettuano il PGT si attesta intorno all'1% e a tale valore massimo dovrebbero tendere i Centri che intendono lavorare con standard qualitativi elevati.
La seconda corrente di pensiero sulla diagnosi genetica preimpianto che si contrappone totalmente alla prima, invece afferma che tale procedura debba essere eseguita a prescindere in tutte le coppie che accedono ad un percorso PMA. Tale affermazione viene fatta perché ci si pone diversi obiettivi:
Allo stesso tempo eseguire una diagnosi genetica preimpianto in tutte le coppie comporta costi proibitivi per qualsiasi struttura, sia pubblica che privata. Inoltre i dati presenti nella letteratura scientifica, dicono che un ciclo di PGT sia qualitativamente adeguato, se il tasso di gravidanza cumulativa per ciclo di stimolazione iniziato è pari o superiore al 20%.
Per tasso di gravidanza cumulativa per ciclo iniziato si intende la percentuale di gravidanza ottenuta al completamento di tutti i trasferimenti embrionali per un dato ciclo di stimolazione. Tale dato è il risultato complessivo del livello qualitativo del centro di PMA dove avviene la stimolazione ormonale, il prelievo ovocitario, la fecondazione, la coltura e biopsia embrionale, la crioconservazione ed il transfer embrionale.
In conclusione possiamo confermare l’importanza che ad oggi ha assunto la diagnosi genetica preimpianto nella PMA, come strumento altamente efficace nel trattamento dell’infertilità per milioni di coppie in tutto il mondo. L’applicazione della biopsia del trofoectoderma combinata all’analisi genetica embrionaria, ha evidenziato buone correlazioni in termini di aumento del tasso di impianto e gravidanza a termine per trasferimento embrionale, oltre ad una riduzione del 70% del rischio di abortività e una riduzione dei fallimenti di impianto. Infine grazie alla possibilità del transfer di singola blastocisti euploide, si è evidenziata una diminuzione significativa della percentuale di gravidanze gemellari. Tuttavia, l’applicazione della diagnosi genetica preimpianto necessita di strutture altamente specializzate e di costi elevati.
Dr. Maurizio Sodano
BIBLIOGRAFIA