Nel corso degli anni il numero di donne che si sottopone a terapie di stimolazione ovarica per le tecniche di riproduzione assistita, aumenta considerevolmente.
Spesso quando si parla di terapie ormonali le donne vanno incontro ad ansia e timori sui possibili effetti che queste potrebbero avere sulla loro salute, tra cui il rischio di sviluppare una patologia tumorale.
Uno dei vari motivi che determina preoccupazione è che queste cure vengono ancora spesso definite erroneamente “bombardamenti ormonali”, terminologia che poteva essere associata ai primi anni di sviluppo della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), ma oggi dopo più di trent’anni le terapie impiegate per la stimolazione ormonale sono personalizzate.
Sebbene l’infertilità, di per sé, sia un fattore di rischio per alcuni tumori femminili, come il cancro della mammella, endometrio ed ovaio, molti studi non hanno dimostrato un significativo rischio di sviluppare questi tumori a seguito dell’utilizzo di terapie per la fertilità e i dati a disposizione sono rassicuranti.
In particolare per quanto riguarda il tumore al seno (il più diffuso tumore femminile) non c’è nessun rischio aumentato dalla fecondazione in vitro: la probabilità che la donna possa ammalarsi resta identica a quella del resto della popolazione.
Come viene riportato da un importante studio condotto nel 2013 da un gruppo di ricercatori israeliani e statunitensi, i dati ottenuti escludono il rischio oncologico di cui sarebbe responsabile l’eccesso di ormoni (estrogeni e progesterone) che si genera nell'induzione dell'ovulazione e che potrebbe contribuire all’insorgenza di alcuni tumori al seno, all’ovaio e all’utero.
Tuttavia alle pazienti con più di 35 anni che si rivolgono alla PMA, viene consigliato di effettuare una mammografia e/o un’ecografia mammaria prima di intraprendere il trattamento, poiché i rischi oncologici ormono-dipendenti aumentano non tanto con una stimolazione acuta effettuata con i farmaci, quanto con la stimolazione ormonale continua e naturale della gravidanza in se.
Per quanto concerne il tumore dell’ovaio è al sesto posto fra i tumori delle donne per frequenza, ma è gravato da una elevata mortalità.
Sono stati individuati molti fattori che hanno un ruolo predominante nell’aumentata incidenza del tumore ovarico: predisposizione genetica, età del menarca e della menopausa, la gravidanza e l’allattamento, l’uso di contraccettivi orali e la parità.
Il rischio di sviluppare il tumore ovarico è risultato aumentare in seguito all’impiego del citrato di clomifene (se utilizzato per più di 12 cicli), mentre non è mai stata dimostrata nessuna associazione con le gonadotropine, che sono i farmaci che oggi si utilizzano nella maggioranza dei casi. Infine in relazione al tumore dell’endometrio diversi studi non hanno evidenziato alcuna associazione con farmaci impiegati in un trattamento di PMA.
In conclusione, si può affermare, secondo i dati emersi negli ultimi decenni, che il rischio oncologico non aumenta in relazione all’assunzione di farmaci per la stimolazione ovarica, come viene confermato da Saundra Buys, oncologa dell’Huntsman Cancer Institute dello Utah: “oggi sappiamo che, almeno fino a due decenni dopo il trattamento, non c’è alcuna evidenza che provi un aumentato rischio di ammalarsi di tumore al seno, per le donne che si sono sottoposte alla fecondazione in vitro”.
BIBLIOGRAFIA
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